DEBITO VERSO L'AMMINISTRAZIONE
CAUSATO DA ERRORI NEL DETERMINARE LA RETRIBUZIONE

22/4/2014

Il problema è antico. A volte capita che l'amministrazione scopra di aver pagato per anni una retribuzione superiore a quella dovuta per un errore commesso dall'ufficio che ha il compito di emettere i decreti di ricostruzione di carriera, compito dell'ufficio ruolo dei provveditorati fino al 31/8/2000 e delle istituzioni scolastiche dal 1/9/2000 in poi.
E' normale, data la lentezza della macchina burocratica, che l'errore salti fuori dopo 10-15 anni e il malcapitato che ha ricevuto poche decine di euro al mese in più si trova a dover restituire somme piuttosto corpose.
Ma vanno proprio restituite queste somme?
In genere sì perché l'errore può essere dovuto ad atti provvisori oppure perché l'amministrazione si cautela chiudendo i decreti con la salvaguardia "salvo conguaglio a favore del dipendente o dell'amministrazione in caso di errore".
Ma come dimostra la notizia che segue, un parere legale é sempre meglio chiederlo. A volte può essere utile.

RASSEGNA STAMPA

Da ITALIA OGGI di martedì 22 aprile 2014

Prima della pensione, l'amministrazione rivede tutto il servizio. A volte i conti non tornano

Ricostruzioni sbagliate, chi paga

Il prof deve restituire il non dovuto solo per 10 anni

di Antimo Di Geronimo

Se la scuola sbaglia la ricostruzione di carriera, e l'ufficio sco­astico se ne accorge dopo 20 anni, il lavoratore non deve restituire tutti i soldi indebitamente percepiti. Ma «solo» quelli degli ultimi 10 anni. E in ogni caso, i calcoli per determinare il dovuto vanno fatti sull'importo netto della retribuzione e non sul lordo. Lo ha stabilito il giudice del lavoro di Potenza con una sentenza depositata il 17 dicembre scorso (r.g.311/2013).  Il provvedimento, di cui si è avuta notizia solo in questi giorni, mette a nudo il pro­blema dei ritardi cosmici accumulati dagli uffici scolastici nell'immissione dei provvedimenti di ricostruzione di carriera.

Vale a dire, i provvedi­menti con i quali l'amministrazione scolastica riconosce al lavoratore i servizi prestati prima dell'immissione in ruolo. E sulla base di tale riconoscimento corrisponde all'interessato una maggiorazione dell'anzianità di servizio che si concreta in un aumento di stipendio e, talvolta, anche nella corresponsione degli arretrati. 
Peraltro, non sono rari casi di lavoratori che ottengono la ricostruzione di carriera definitiva a ridosso della pensione. In quella occasione vanno incontro alla sgradita sorpresa di dovere restituire all'amministrazione scolastica somme considerevoli. Ciò è dovuto al fatto che, in passato, proprio per attutire gli effetti della lentezza del­la macchina amministrativa, le scuole emettevano provvedimenti provvisori di ricostruzione di carriera. Che però venivano formati, per così dire, con riserva. Perché il provvedimento definitivo era comunque di competenza del provveditorato.

A ciò va aggiunto il fat­to che esiste un legge che consente all'amministrazio­ne di evitare gli effetti della prescrizione. E quindi i provveditorati se la prendevano comoda. Resta il fatto, però, che esisteva comunque una disposizione che fissava in 480 giorni il termine entro cui l'amministrazio­e era tenuta a formare il provvedimento definitivo. E quindi, mettendo insieme le due cose, nulla lasciava intendere che il provveditora­o potesse accumulare 20 o 30 anni di ritardo prima di concludere il procedimento.

Va detto subito, peraltro, che la questione riguarda solo i lavoratori della scuola immessi in ruolo prima del 2000. A partire da quella data, infatti, la competenza in materia di ricostruzione di carriera è passata ai dirigenti scolastici. E ciò ha ridotto fortemente i tempi di formazione dei provvedimenti. Resta il fatto, però, che i casi di ricostruzione tardiva sono migliaia. E la direzione provinciale del mineconomia, quando scopre che i lavoratori hanno percepito più del dovuto, non si fa scrupoli nell'inviare provvedimenti di ingiunzione con cifre che possono superare anche i 30mila euro. Ciò si traduce in un'inaspettata «cessione del quinto dello stipendio» che si cumula alla retrocessione dell'importo della retribuzione mensile nell'ordine di uno o due gradoni. Dunque, come sempre succede in questi casi, la parola è passata ai giudici del lavoro. Che si stanno gradualmente orientando verso una soluzione salomonica.

La decisione si discosta in parte dalla posizione ormai consolidata della Corte dei conti in riferimento ad una situazione analoga che, però, riguarda le pensioni. I giudici contabili sono concordi nel ritenere che, se l'amministrazione sbaglia l'importo degli emolumenti, il lavoratore, se passano molti anni, non deve restituire nulla. I giudici del lavoro, invece, ri­engono che la restituzione va fatta. Ma solo per quanto riguarda gli emolumenti indebitamente percepiti negli ultimi 10 anni.

In buona sostanza, i giudici ordinari stanno semplicemente applicando la prescrizione decennale ai crediti vantati dall'amministrazione. In ciò derogando una legge speciale che, per contro, dispone che in questi casi la prescrizione non debba scattare mai. Quanto alla sentenza del 17 dicem­bre, va segnalato, inoltre, che il giudice ha censurato la direzione territoriale del mineconomia affermando che l'importo da restituire, in ogni caso, va calcolato al netto delle imposte e non sul lordo.